THE RIVER (IL FIUME) 1951 Jean Renoir

 

L’inquadratura-prologo iniziale del film funge da chiave interpretativa; ovvero la macchina da presa inquadra un pavimento di colore scuro in cui le mani di alcune donne stanno facendo scivolare, una polvere di riso, come spiega una voce fuori campo. Lentamente sul pavimento la polvere forma una figura complessa, simile ad un fiore al cui centro sta una forma circolare. È un Rangoli, un disegno che le donne indiane tracciano sul pavimento per onorare gli ospiti venuti a fare visita, spiega anche questa volta una voce fuori campo.


RANGOLI

La sequenza è evidentemente autonoma dal punto di vista narrativo ma è in fondo un modo per “entrare” nel film, per essere accolti al suo interno. 

Jean Renoir deve la sua intera fortuna al fatto che non si trasferì in Francia ma rimase a vivere in America, a New York, lì lesse per la prima volta il libro “il fiume” di Rumer Godden li quale dopo averlo finito ne comprò i diritti, pensando che questo poteva essere il suo primo film a colori. 

Hollywood invece non la pensava cosi , anzi , sosteneva che un film indiano senza caccia alla tigre, senza elefanti non valeva la pensa di essere prodotto e infatti declinò subito la richiesta di Renoir. 

Negli stessi giorni anche Kenneth Mc Eldowney un fiorista il quale amava il cinema e adorava l’India (dovuto anche dal fatto che aveva degli affari lì) volle comprare i diritti del “Fiume” per poi farci un film, ma la casa editrice declinò la cosa perché erano già stati comprati da Jean Renoir. 

La collaborazione tra di loro fu immediata e non difficile, Renoir aveva stabilito tre condizioni per la loro collaborazione: Mc Eldowney doveva regalargli un viaggio di ricognizione iniziale in India, la sceneggiatura doveva essere scritta in collaborazione con l’autrice del romanzo e che non ci fosse nessuna tigre o elefante. 

Renoir per la realizzazione del film ebbe anche un'altra fortuna, dovuta da una serie di incidenti sia spedizione dei materiali che del arrivo dei materiali stessi, facendo così aumentare la sua permanenza in India; cosi da poter creare un film ancora più autentico e vero della vita quotidiana (fu anche introdotto nella famiglia indiana di un membro sua troupe). 

L’india era un forte deterrente per la creazione del film a colori; i colori vivi del rosso, del arancio, i colori primari, li possiamo trovare in tutto ciò che circonda, i paesaggi erano forti dovuto dal fatto che non c’erano sfumature ma colori primari, vicini alla natura. 

Renoir voleva appunto creare un film senza filtri ne aggiunte successive, ma voleva creare un film basato interamente sul autenticità; la vegetazione tropicale offriva una limitata scelta di colori ben precisi, i verdi sono verdi, i rossi sono rossi. 

Il colore del film è infatti evidentemente parte integrante di un movimento espressivo che consente ai personaggi di muoversi all’interno dell’inquadratura come all’interno di un quadro, in cui ciò che conta non è tanto ciò che si dice o si racconta, ma quello che si riesce a vedere, in un particolare, in un gesto, un sorriso. 

Il film è un resoconto della vita di una famiglia inglese in Bengala, non c’è nel racconto un inizio ed una fine ma una sorta di racconto, una narrazione comunque c’è basato sulle forze fondamentali che sono :l’infanzia poi l amore e la morte. 

Questo concetto del “Il giorno finisce la vita continua”, viene ripetuto molte volte al interno del film, questo incessante continuo andare avanti, Angel a tavola dopo il funerale del fratellino esclama “tutto continua come se niente fosse” e la mamma risponde “non è vero, tutto continua”; esso è la struttura del film, il fiume che scorse e non si ferma mai, non c’è ne inizio ne fine. 

Nella sequenza del racconto di Harriet, troviamo dei richiami esoterici in cui si narra la storia di una ragazza di campagna che si innamora di un uomo “bello come il dio Krishna”, ma fu costretta dal padre a sposare un uomo che non conosce, scopre il giorno delle nozze che l’uomo altri non è se non colui di cui si è innamorata. 

La ragazza, che nella sequenza ha le sembianze di Melanie, si trasforma allora nella dea Radha, la divinità-ragazza, divenuta dea per essersi innamorata di Krishna.


LOCANDINA FILM

 L’inquadratura diventa fissa e su uno sfondo uniforme (il muro del giardino della casa) la ragazza inizia a danzare, ecco allora che il movimento del film si concentra tutto nei movimenti della danzatrice che si muove con leggerezza all’interno di un’immagine che è una sorta di ritorno al fascino. 

Il fiume poi porterà un uomo il quale condurrà le tre ragazze al amore, la natura alla morte e nuova vita, il necessario processo lo vediamo al interno del film con la processione nella religione Indù della dea Kalì, essa ha un ruolo molto importante nella vita indù, soprattutto a Calcutta, la città sarebbe stata fondata da lei, è la moglie di Shiva, il secondo della trinità indù; personifica la creazione e la distruzione al tempo stesso. 

Per gli indù non c’è creazione senza distruzione, la statua viene rappresentata tutta nera, una statua della dea fatta nella creata del fiume la quale viene immersa per farla sciogliere nella cerimonia di una notte per farla ritornare al fiume, tutto visto sotto l’idea indiana del accettazione ovvero tutti accettano qualcosa: il capitano John accetta la mutilazione della gamba, i genitori la morte del figlio, la ragazza senza casta accetta la sua difficile doppia identità. 

C’è al interno del film una sensazione di eros, una rincorsa quasi impalpabile di turbamento, lo possiamo notare nella scena quando le tre ragazze cercano il capitano John, Harriet si trova davanti a lui e, gli dice che la cosa che di più le mancherà è il quotidiano con lui. All’interno del film troviamo delle sequenze documentarie, esse sono parte integranti del film e della narrazione sono narrative, le cerimonie, le feste, la vita sul fiume, l’India nella sua veridicità. 

Momenti di vita e di lavoro, uomini che si lavano nel fiume, donne che pregano, riti antiche e al tempo stesso quotidiani; Renoir per la realizzazione del Film non voleva nessun tipo di intervento di elementi tecnici per tutte le scene compreso anche questa del documentario, ma anche le inquadrature, nessun mezzo esterno doveva interferire nessuna gru o carrello. 

Il movimento di macchina finale, con la macchina da presa che inquadra frontalmente le tre ragazze per poi alzarsi e perdersi lentamente nella vita brulicante del grande fiume Gange, sembra incarnare in sé la profondità di un gesto metafisico, quello dell’unione del sé in un tutto che scorre, in un flusso mobile e fluido come le acque di un fiume.

Un film che per il regista Jean Renoir fu il primo a colori, quindi sarà un film molto importante anche per la sua carriera, è girato totalmente in india .

Personalmente trovo che sia un bellissimo documentario/film, consiglio di vederlo se vi piace l'India e non volete i classici film pieni di elefanti e pieni di clichè, da vedere. 



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